Quando finisce un anno scolastico, mi ritrovo sempre a chiedermi come sia andata, che cosa abbia funzionato e che cosa no. Anche quest'anno la prima critica va al sistema scuola in generale: troppe discipline da seguire in contemporanea, troppe verifiche. Rimproveriamo spesso i ragazzi perché studiano per il voto: il punto è che per loro si tratta di sopravvivenza. Sarebbe urgente proporre unità di apprendimento interdisciplinari, creare sinergie tra docenti. Però non succede quasi mai, almeno nel mio liceo, oppure accade sporadicamente, ma nella normalità ognuno in aula sua a fare le cose sue.
E ora la pars construens. Devo dire che quest'anno sono proprio soddisfatta di come sono riuscita a gestire l'italiano nella mia terza del liceo delle Scienze Umane. Questa classe si caratterizzava per il fatto di essere poco numerosa, a stragrande maggioranza femminile, con una buona motivazione allo studio, pur con un ritmo di apprendimento non velocissimo e talvolta con difficoltà di comprensione; il suo punto debole più vistoso, a mio parere, era la scarsa partecipazione, perché queste ragazze e ragazzi avevano paura ad esprimere la propria opinione, ad esternare pensieri e sentimenti, per timidezza o timore di di essere giudicati.
Ho scelto di lavorare, dunque, attuando il più possibile una didattica attiva: dallo studio in classe a gruppi ad esperimenti di cooperative learning più complessi come il jigsaw e alla didattica laboratoriale della lettura e della scrittura.
Il mio mantra per tutto l'anno è stato questo: come posso rendere vivo lo studio della letteratura? Come posso avvicinare i miei ragazzi ad autori così lontani nel tempo?
Allora, tenuto conto del fatto che la materia caratterizzante l'indirizzo è Scienze Umane, ho deciso di creare collegamenti con questa disciplina. In primis sono partita dalla narrazione: per esempio, ho introdotto Dante attraverso il testo di Pupi Avati, L'alta fantasia per presentare questo autore attraverso le sue vicende umane, per far capire che non era un capitolo del libro, ma una persona in carne ed ossa che ha vissuto momenti drammatici durante la sua vita.
Quando dalla Vita nuova sono passata alla Commedia, mi sono avvalsa del libro di G. Sitta, Tutti all'inferno, che propone una lettura psicanalitica dell'Inferno dantesco. Abbiamo sviscerato il concetto di "selva oscura", abbiamo pensato alle tre fiere come gli ostacoli che la nostra mente ci pone davanti per imbrigliarci nelle nostre gabbie mentali e poi abbiamo riflettuto sul ruolo di Virgilio, che aspetta che Dante lo veda e gli chieda aiuto prima di intervenire (della serie: bisogna avere il coraggio di chiedere aiuto, perché nessuno si salva da solo).
A quel punto abbiamo letto alcuni canti (alcuni li hanno letti loro a gruppi con l'obiettivo di riscrivere Dante in italiano moderno sfruttando la parafrasi proposta dal libro adottato) e soprattutto abbiamo imparato a memoria il canto III dell'Inferno, cercando di recitarlo con pathos. Io trovo fondamentale studiare a memoria dei testi, perché poi possano risuonare nella mente e nel cuore di questi ragazzi per tutta la loro vita. E non puoi memorizzare e recitare con le giuste pause se non hai compreso bene quello che stai dicendo, perciò si tratta di lavorare sul serio sull'apprendimento (non si tratta di studiare quattro acche per il voto). I ragazzi hanno talmente apprezzato (nonostante i brontolii iniziali) questa attività che poi a fine anno, in totale autonomia e facendomi una sorpresa, hanno organizzato una messinscena del canto terzo dell'Inferno scegliendo come pubblico le classi del biennio del loro plesso. Per loro è stata una conquista grandiosa, perché hanno avuto il coraggio di esporsi, di assumersi dei rischi (penso all'unico maschio della classe che impersonava Caronte: è apparso in scena con addosso un barbone grigio e a bordo di una barca di carta con tanto di remo!).
Petrarca, insieme alla lettura di qualche passo di Sant'Agostino, ha fornito l'occasione di parlare dell'accidia e del rapporto tra desiderio e volontà. Boccaccio ci ha fatto divertire, perché i ragazzi hanno scelto alcune novelle e le hanno messe in scena per i loro compagni, poi ci hanno ragionato sopra.
Machiavelli (abbiamo approfondito solo alcuni passi de Il principe) è stato letto a gruppi e spiegato dagli stessi alunni attraverso una struttura del cooperative learning molto dinamica: tutti quanti hanno dovuto ripetere più volte a diversi compagni i testi che avevano studiato nel loro gruppo; prima, però, io ho fornito una lista di domande a cui dovevano trovare risposta sfruttando le conoscenze dei diversi compagni. Che cosa ha funzionato? Ciascuno ha veramente potuto testare la comprensione del testo di partenza e poi quando ho fatto il punto in plenaria ho davvero potuto chiarire quello che i ragazzi stessi si erano accorti di non aver del tutto capito.
Il pensiero sulla politica di Machiavelli ha poi offerto l'occasione di fare un collegamento alla politica di oggi, alla loro idea della politica, all'astensionismo, al populismo, alle elezioni europee (con l'aiuto anche del prof. di Storia e Filosofia), così come nel primo quadrimestre la lettura del Cantico delle Creature di San Francesco ci ha permesso di collegarci all'enciclica di papa Francesco Laudato si' e quindi al problema del cambiamento climatico.
E la letteratura latina? Con due ore a settimana e una parte consistente dedicata ancora all'apprendimento della lingua latina, siamo riusciti a fare solo quattro autori: Plauto, Terenzio, Cesare e Catullo. Plauto ci ha fatto divertire con la lettura integrale ad alta voce in classe (da parte dei ragazzi) dell'Anfitrione (ovviamente in italiano); Terenzio con i suoi Adelphoe (anch'essa letta integralmente in traduzione italiana) ci ha fatto approfondire il rapporto genitori-figli, anche con l'apporto degli studi pregressi di Pedagogia e Psicologia e di alcuni video di Pellai, Recalcati, Crepet reperiti su Internet. Abbiamo fatto un bel cerchio in classe e sono stati i ragazzi (tutti) a spiegarmi a turno tutti gli stili genitoriali e tutti i collegamenti che avevano trovato: io prendevo appunti e facevo domande vere (cioè io mi sono posta come discente che voleva imparare da loro, che si ponevano come gli esperti di psicologia!). Poi siamo passati a riflettere sul nostro rapporto coi genitori... Naturalmente tutto questo è stato poi riportato per iscritto nel laboratorio di scrittura: gli scrittori (italiani e latini) ci hanno sempre dato modo di elaborare pensieri e opinioni su carta, e a volte questi pensieri sono diventati vere e proprie bozze e poi pezzi finiti.
Mentre Cesare è stato affrontato più come pretesto per lavorare un po' sulla traduzione (con riferimenti alla visione dello straniero nell'excursus etnografico su Galli e Germani del libro VI del De bello Gallico), Catullo è stato proposto a fine anno come poeta trasgressivo (ma non troppo!) d'amore. Abbiamo letto (soprattutto in traduzione) alcuni carmi concentrandoci sulle parole chiave e ne abbiamo ascoltato l'interpretazione di Branduardi e del coro Tyrtarion; poi i ragazzi stessi hanno prodotto una loro interpretazione attraverso canto e musica di un carme scelto da loro. Alcune esecuzioni hanno commosso qualche allieva e pure la sottoscritta: Catullo, così, per la nostra classe è diventato indimenticabile.
Io lo so che ho tralasciato lo studio più critico della letteratura, magari non mi sono focalizzata troppo sull'analisi stilistica o sulla parafrasi parola per parola, tuttavia ho capito che solo così, almeno per come la vedo io, funziona la letteratura: sia io che i ragazzi ci siamo divertiti, abbiamo fatto cose belle che ci sono piaciute e che ci sono rimaste. Loro stessi a fine anno me l'hanno detto: "Ci ricordiamo ancora tutto quello che abbiamo fatto, non lo abbiamo dimenticato dopo la verifica".
Insomma, mi pare che sia la strada giusta.