mercoledì 10 agosto 2022

Riflessioni sulla mia sperimentazione fin qui del RWW

 Stavo rileggendo questo vecchio post:

https://robadaprof.blogspot.com/2016/09/laboratorio-di-lettura-e-scrittura.html

Risale al primo incontro con l'approccio laboratoriale alla lettura e alla scrittura mediato dalla mia amica Silvia Pognante e da alcuni testi da lei consigliati. 

Oggi che ho maturato alcuni anni di esperienza didattica mi accorgo di alcune ingenuità all'interno di quello scritto, dovute principalmente al fatto che non avevo ancora provato. 

In primis la troppa carne al fuoco: un mese per ogni genere letterario! Tre libri ad alta voce all'anno! Figuriamoci! Ora ho imparato a mettere in conto tempi molto più lenti: la qualità richiede lentezza. Lo scrive sempre anche Sabina Minuto, un faro per me. 

Altro errore, almeno per quanto mi riguarda, è quello di aver immaginato di controllare ogni aspetto: i materiali, come gli studenti avrebbero scritto (intendo l'interlinea, il colore della penna etc...). Nel tempo ho capito che a prescindere dalle indicazioni anche dettagliate che cerchi di dare agli studenti poi alla fine loro fanno quello che vogliono,cioè trovano un loro modo con il quale si sentono a loro agio. L'importante è che leggano e scrivano, poi se preferiscono scrivere a pc o fare più bozze a mano tutte appiccicate per poi ricopiare venti volte il loro testo... Che facciano loro!

Parimenti trovo pesante, ora, tutto quel "far fare" sui testi che leggono: io stessa mi infastidisco se mi fanno uscire troppo dalla "reading zone", per dirla come la Atwell. Ora mi sentirei di consigliare (anche a me stessa, visto che a settembre ricomincerò con una prima, ma stavolta nella Secondaria di II grado) di proporre poche cose (sotto forma di minilessons) ma buone.

Ho capito che non serve chissà che cosa: proporre testi (meglio racconti integrali) di qualità, belli, coinvolgenti su cui lavorare a più riprese, partendo dalla discussione in classe sul e oltre il testo (e mi rendo conto di quanto sia difficile operare scelte significative). Eliminare le domande banali (pallose) sul testo e riflettere sugli aspetti che davvero possano interessare. Scrivere (anche quick write all'inizio) su ciò che si legge. Leggere in classe e parlare anche in modo informale di libri SEMPRE, perché la lettura è contagiosa se la facciamo sentire un'attività affascinante. Stabilire relazioni vere con ciascuno studente: questo aspetto da solo regge tutta la baracca, a dir la verità. Lavorare sul gruppo classe, perché ci siano armonia e buone relazioni  all'interno (fondamentali per i lavori di gruppo e anche perché, se tra compagni si motivano a vicenda per esempio nell'ambito delle letture personali, abbiamo già vinto! I book club, a tal proposito, sono esperienze da provare assolutamente).

Infine confesso una difficoltà che ancora non ho superato: purtroppo vedo che le cose che funzionano veramente (la lettura per puro piacere di leggere, la scrittura autobiografica) soprattutto alle superiori cozzano con quanto richiesto dal Dipartimento e con le necessità della valutazione.

Per esempio: poniamo che dia da scrivere un testo (con tipologia e argomento scelti dallo studente) per poi valutarlo al posto del tema tradizionale. 

Naturalmente posso chiedere di scriverlo in classe ritirando le bozze ogni volta. Ma... Punto primo: molti studenti si sentono più a loro agio scrivendo direttamente a pc (e pure io: siamo nel 2022 del resto). Se portano i loro devices, ovviamente non possono "consegnare". Certo, ci sono stratagemmi per capire le date delle modifiche in Google Documenti etc..., ma è complicato tenere d'occhio 20 o 30 marmocchi! Certo non sostenibile. 

Punto secondo: pretendiamo pure la scrittura a mano, ma sappiamo che, essendo la scrittura autentica a più riprese, anche se consegnano possono sempre continuare a casa sul quaderno, aggiungendo fogli di brutta la lezione successiva. Naturalmente il rischio è che non sia tutta farina del loro sacco. Poi con le misere 4 ore di Italiano a disposizione, fa anche comodo che lavorino un po' a casa, diciamo la verità.

Quindi ci si deve fidare. E lo possiamo fare con tranquillità se non c'è voto. Quando c'è il voto di mezzo, la paura di fallire è più forte di qualsiasi remora etica. O meglio la valutazione ci può essere, ma deve riguardare il processo di scrittura, la capacità di recepire i consigli dell'insegnante, la voglia di riprovarci, la capacità di rimettersi in gioco... 

A mio parere, dunque, bisogna separare il lavoro quotidiano su lettura e scrittura, che deve essere sereno e coinvolgente di per sé, senza bisogno del ricatto del voto, da quello che è il momento della verifica, necessario ahimè finché la scuola continuerà a reggersi sui voti appunto. E allora lì tocca proporre una traccia tradizionale (magari riferita a temi trattati in classe e al lavoro svolto in precedenza) o un lavoro di comprensione di un testo per vedere se sanno applicare le strategie viste insieme. 

Io purtroppo non ho trovato altre strade. Quello che mi piace fare coi ragazzi proprio non c'entra con la misurazione del livello di competenza. È più che altro valutazione formativa; riguarda l'atteggiamento dello studente verso le sfide proposte, ecco. Ma il contesto scolastico attuale mi chiede altro e per questo mi sta stretto, me ne rendo conto. E infatti in cuor mio so che la valutazione vera sarebbe quella tramite compiti autentici, con il naso fuori dalla scuola, ma tutti noi sappiamo quanto questo cozzi contro l'appiccicar voti nel modo in cui siamo abituati. 

Ad ogni modo, in questi anni ho trovato sempre degli escamotage, non solo per Italiano, ma in generale in tutte le mie discipline: diari di bordo sulle attività svolte (soprattutto in gruppo), relazioni finali, richiesta di un elaborato finale da presentare alla classe (così vedi grado di profondità dello studio, capacità comunicative, competenze digitali...), riflessioni metacognitive sul lavoro svolto etc... In questo modo riesco ad avere diversi strumenti per la valutazione, dai più tradizionali (test a punti sulle mere conoscenze, verifiche e temi classici) a quelli più relativi alle competenze e agli atteggiamenti. Non nascondo tuttavia che non mi ritengo proprio soddisfatta di questo compromesso. Per ora altro non riesco a fare. E nonostante questo laccio che mi tiene legata al fare scuola tradizionale, per i miei studenti io sono quella diversa, quella strana o quella pazzoide (la definizione dipende da quanto mi vogliono bene o dalle loro esperienze scolastiche pregresse più o meno felici). Comunque io cerco di divertirmi e di fare al meglio il mio lavoro: senza passione, senza piacere (del docente e del discente), del resto non c'è vero apprendimento. Non ne varrebbe la pena!


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